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La Merica – parte 1 (daily life)

di Vincenzo Imperato

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Quando decisi di fare una vacanza nel Nuovo Mondo con i miei amici, ero prevenuto e pieno di pregiudizi: gli Americani mi sembravano un popolo infantile e pecorone. Nel mio immaginario era la patria dell’apparenza, dove al posto dei monumenti, chiese e musei che siamo abituati a vedere nelle nostre città, ci sono negozi di lusso, fast food e grandi spiagge. E’ vero, ho scelto la California essenzialmente per divertirmi, ma non ho lasciato a casa un certo spirito critico.

Appena messo il naso fuori dal college, subito mi sono chiesto se quella fosse la normalità, attraversando villette a schiera l’una identica all’altra, con un bel giardinetto curato, la piscina su retro, la classica bandiera che sporge a fianco della porta, il pick up parcheggiato con l’adesivo “Support our troops!” sul vetro.

Ti guardi intorno, ti sembra un telefilm, ma le telecamere non ci sono.

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O forse sì. All’inizio del viale un cartello “Neighborhood watch – program in force” fa presumere che il quartiere sia controllato dall’occhio della giustizia, da un Grande Fratello vigilante. Non sto scherzando, si respira davvero un’aria statica di sicurezza. E’ una sensazione che induce sonnolenza, perché c’è qualcun altro a proteggerti; una bella fetta di preoccupazione se ne va e tu cominci a pensare al mondo esterno all’America come una selva oscura. Finalmente puoi concentrarti sui tuoi fiori e sul gossip del quartiere che è identico a quello di Desperate Housewives o di American Pie. Questa gente si lascia vivere in uno stato di dormi-veglia, e mi dispiace. Ma c’è di peggio. Penso a chi qui vive davvero come un cane randagio.

Con tutti i senzatetto che camminano per strada, nemmeno uno si sogna di schiacciare un pisolino su quei praticelli morbidi come moquette, anche se non esistono recinzioni. Sanno tutti che c’è il rischio che il proprietario di casa ti spari a vista.

Questa gente non è educata!

Sputano per terra, sbadigliano con gusto, a bocca aperta, e sono molto, molto curiosi. Per lo più logorroici e attaccano pezza con chiunque. Un’abitudine comune dei conducenti d’autobus di tutto il mondo rimane il costante ritardo, e un vecchio surfista nervoso alla fermata non si trattiene dal chiamarlo succhiacazzi mentre quello si prende anche una tranquilla pausa pranzo. Noi nell’attesa spariamo musica alta, anni ’80, e una donna nera, seduta sulla panchina, si alza e si mette a ballare battendo le mani a tempo. Poi ringrazia per averle ricordato un bel periodo della sua vita. Se ti accendi una sigaretta, il 60% della gente intorno ti guarderà male, il 40% piano piano tirerà fuori dalle proprie tasche un pacchetto che prima evitava di mostrare.

5814_1192123404438_1268995542_592065_5125835_nSul lungomare, gli obesi in carrozzina si alternano ai palestrati e alle invisibili anoressiche. Non ci sono mezze misure, è il paese degli estremi. I giornali lasciati sugli autobus sono pieni di annunci di cliniche di chirurgia estetica e di concerti punk-rock.

La diseducazione alimentare è al massimo, i messaggi subliminali e la pubblicità abbondano. Ho sempre fame. E la scelta non manca: decine di fast food invadono le strade, da Mc Donald’s a Jack in the box, da Burger King a Wendy’s. Dopo tre giorni di hamburgers, per rigetto decido di cambiare dieta. Mangio solo insalate, cercando di evitare le salsine dolciastre. Vado in iperglicemia, qui è facile, la Coca-Cola costa meno dell’acqua naturale. In realtà l’acqua non esiste se non nelle fontanelle per strada, nei market solo acqua in bottiglia vitaminizzata e saporita di proprietà delle multinazionali come la Coca-Cola Company.

Ma si vede anche l’altra faccia della globalizzazione: uno a fianco all’altro spuntano ristoranti libanesi, giapponesi, brasiliani. L’italiano è il più costoso. Ed è l’unico dove si riesce a bere una birra di sgamo.

Un italiano che compie gli anni, dopo che tutti nel locale gli hanno cantato “Tanti auguri”, offre la cena a tre tavoli. Incredibile. Nei negozi, mentre alla cassa stai cercando gli spiccioli che ti servono, troverai sempre qualcuno disposto a darti i soldi.

Ma questa è la vita di un semplice quartiere a Long Beach. A un’ora di Freeway sotto il sole cocente arriviamo a Hollywood.

(segue parte 2 – fortune’s wheel)

Foto di Vincenzo Imperato

One thought on “La Merica – parte 1 (daily life)

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