di Riccardo Vergnani
Dunque, la stagione delle corse è cominciata a
Hollywood Park e io, manco a dirlo, non sono mancato.
Charles Bukowski, Storie di ordinaria follia
“Ho il cavallo vincente,”.
La frase pronunciata in francese da Irene, con quel suo strano accento colombiano, mi apre un intero mondo fatto di fantasie ippiche e sogni agonistici.
C’è tutta una mitologia britannica e nordamericana sul mondo delle corse dei cavalli che non si può ignorare così facilmente: da Trainspotting a Seabiscuit, l’universo malfamato degli ippodromi e delle scommesse fa parte del nostro background culturale pop, come le favole dei fratelli Grimm o la sigla dei Simpson.
I vecchi alcolizzati, le donne col cappello a tesa larga e il binocolo, i mafiosi in tribuna d’onore e i bagarini fuori dallo stadio che ti promettono il futuro.
Cavoli, ci vado. Ha pure il cavallo vincente, suggerito dal padrone di casa. Non sia mai che vinco qualcosa.
Le mie aspettative di un ambiente squallido e un po’ malfamato vengono deluse già all’arrivo all’ippodromo di Vincennes, poco fuori Parigi. Persone di tutte le età, coppiette per mano e famiglie con bambini fanno la coda per entrare, tra bandiere colorate e sciarpe col nome del cavallo da supportare. Dove sono i giocatori accaniti con la fiaschetta di whiskey nel taschino?! In realtà, sul viaggio in autobus sono stato parzialmente soddisfatto: un signore dai vestiti un po’ logori e dallo sguardo spiritato ci ha consigliato con aria confidenziale di scommettere su Maharajah o su Un mec d’Héripre. Colpo sicuro.
Ma a quanto pare il Gran Prix d’Amérique è un evento che attira realtà diverse da quella degli abitudinari delle corse; così, facendoci largo tra la folla festante, con in mano le nostre belle bandierine rosse regalateci all’entrata, ci dirigiamo verso lo sportello dedicato ai neofiti dell’ippica, per farci illustrare come funzionano le scommesse.
Ovviamente, dopo dieci minuti di spiegazione non ho ancora capito niente. Le ragazze si allontanano, annoiate. Loro scommetteranno a sentimento. Io e Emanuele rimaniamo invece a studiare le schedine e i giornali abbandonati, nel tentativo disperato di trovare una logica dietro a tutti quei numeri che scorrono sugli schermi dell’ippodromo. La prima corsa è già finita, ma all’ultimo minuto riesco a fare una piazzata sulla seconda corsa (per la bellezza di cinque euro! ) ispirato dal nome italiano di un cavallo, Oblio dei venti. 29 a 1, non male in caso di vincita.
La corsa parte. Incredibilmente, il mio cavallo è in testa sin dall’inizio. Comincio a gridare, preso dall’entusiasmo. Un uomo dietro di me mi batte la mano sulla spalla, non so se per incoraggiarmi o come gesto apotropaico per assicurarsi un po’ della mia (apparente) fortuna del principiante.
Poi, la tragedia. Alla curva finale, Oblio dei Venti perde tre posizioni. Ha perso. Ho perso. È tutto finito.
Decido comunque di non farmi prendere dallo sconforto.
Io ed Emanuele torniamo a studiare le quotazioni delle terza corsa. Alla fine, concordiamo di scommettere su Ursula Speed (6 a 1) perché il nome ci ricorda la cattiva della sirenetta dell’omonimo film Disney. Cinque euro (in due) sui primi tre piazzamenti. Vogliamo assistere dal vivo alla gara e ci dirigiamo verso la tribuna.
Una volta lì, faccio in modo di non lasciare niente al caso. Scrivo su un foglio Poseidon, dal nome del dio del mare che, secondo la leggenda, diede vita al primo equino colpendo la terra col suo tridente. Sul pezzo di carta scrivo anche il nome del nostro cavallo e faccio dire una preghierina in greco alla mia amica ateniese, Maria. Infine, brucio il pezzo di carta invocando la divinità olimpica in mio soccorso.
Ursula Speed parte in testa. Dopo una gara serratissima con altri tre cavalli, arriva seconda proprio sul finale. Abbiamo vinto, giubilo assoluto tra urla e abbracci.
Dopo aver ritirato la nostra vincita (undici euro da dividere in due) ci concentriamo sulla quarta corsa, il Gran Prix vero e proprio. Il padrone di casa di Irene, che assiste alle gare in tribuna d’onore, ha consigliato di puntare su Royal Dream, dato 7 a 1. Ma, al momento della scommessa, mi torna in mente il suggerimento del tizio in autobus. A quanto danno Maharajah? 6 a 1. Uhm, è più probabile. Dò fiducia allo sconosciuto del bus e punto cinque euro su Maharajah (che scopro essere un cavallo svedese), mentre gli altri mantengono la linea di Royal Dream. Tsk, vedremo chi ha ragione.
Dopo essermi perso la sfilata dei corazzieri a cavallo perché troppo occupato a fare i miei calcoli probabilistici, torno di nuovo in tribuna, dove, in un tifo da stadio, vengo accolti cavalli e fantini. Il grande favorito è Ready Cash (nomen omen) dato 2,5 a 1. Atteggiamento partigiano da parte dello speaker che si lancia in un elogio smisurato del possibile vincente alla faccia di tutti gli altri partecipanti. Chissà se i cavalli ci saranno rimasti male.
Unico momento di serietà, il ricordo di un cavallo morto recentemente ma che aveva ancora tanto da regalare al mondo delle corse. Fortunatamente, ora “riposa in pace” (sic!).
Inizia la corsa, subito sospesa per falsa partenza. In realtà non avevo nemmeno capito se era partita davvero o se si stavano solo posizionando. Vabbè, si riparte. Maharaja subito in testa.
Dai, c****!!!
C’avevo creduto. Per qualche, meraviglioso secondo c’avevo davvero creduto. Ma al rush finale Royal Dream e Ready Cash scattano in testa, assieme a altri cinque o sei cavalli, lasciandosi dietro il povero Maharaja. Vince Royal Dream per due centesimi di secondo su Ready Cash. Maharaja non si piazza nemmeno fra i primi cinque. I miei amici esultano e io guardo desolato verso il tabellone dei risultati.
Uscendo, stramaledico a denti stretti un paio di supporters vichinghi con la bandiera svedese in mano.
Mentre gli altri mi sventolano davanti agli occhi i mazzetti di banconote fresche, io rimprovero loro di aver vinto sulla pelle dei poveri cavalli maltrattati e stressati per il nostro piacere domenicale. Non penso tornerò più all’ippodromo. Perché, fondamentalmente, mi sono divertito tantissimo. È un rischio che non posso correre: già mi immagino a sessant’anni, alcolizzato e pieno di debiti urlare di fronte a un tabellone con il giornale delle scommesse in mano. Proprio come tutte quelle persone che, dissolta la folla del Grand Prix, stanno ora riappropriandosi del loro spazio, accalcandosi davanti agli schermi delle quotazioni – uniti in un abbraccio simbolico e con lo sguardo pieno di speranza rivolto verso l’alto. Non c’è mai fine alle corse.
Rimango un attimo a guardarli, faccio un pensierino a Poseidone ed esco dall’ippodromo.
Non prendere mai caramelle dagli sconosciuti dovremmo cambiarlo in mai prendere informazioni dagli sconosciuti.
Molto bello voglio andarci anch’io però mi serve la soffiata.
Denis
Provo una certa empatia con lo sfortunato scommettitore protagonista della vicenda… chissà perché!