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La Merica – parte 2 (fortune’s wheel)

di Vincenzo Imperato

(parte 1 – daily life)

5814_1192123204433_1268995542_592060_6424273_nLa strada per raggiungere L.A. è larga, comoda, pubblicizzata da cartelloni ogni metro. Sprazzi di realtà sono nel fumo delle ciminiere delle enormi fabbriche in periferia, o in quella casa assediata da poliziotti armati di fucile che cercano di stanare un criminale.
Alla mattina il cielo non è limpido, ma si distingue senza problemi l’insegna della terra del cinema. La downtown della città conserva i tratti messicani, ma il mercato, le danze popolari, i churros e i mariachi esistono solo per i turisti; qui i discendenti dei messicani lavorano nei fast food, pagati a ore.

Per le strade della fabbrica americana di film destinati al successo, di fronte al teatro cinese si affolla la comunità impazzita di quelli che vivono sotto la collina più famosa del mondo. Ne vedi di tutti i generi: chi è vestito da Elvis, chi da Yoda, chiunque cerca di guadagnarsi da vivere come i nostri cari centurioni sotto il Colosseo. A calpestare il suolo impresso dei vari nomi di Clint Eastwood e Tom Cruise ci sono anche aspiranti screen-writers, ognuno con la propria storia nel cassetto, ognuno col proprio metro quadro di marciapiede e il proprio cartoncino 50×20 con scritta la storia perfetta per il Johnny Depp o la Scarlett Johansonn di turno.

Cerchiamo riparo dal sole e un po’ di ristoro nel fast food più vicino: naturalmente all’interno ci sono gigantografie di star che campeggiano alle pareti. Entra nel ristorante un uomo in completo da businessman, fissa il volto enorme e gli enormi denti di Julia Roberts con gli occhi lucidi, poi con la mano passa un bacio dalle sue labbra umide a quelle dell’attrice coperte dal plexiglass, lasciando un alone vistoso.
Sconcertato, mi giro dall’altra parte, dove un vecchio cinese si sta pulendo la bocca con due dita.
A Rodeo Drive la storia è diversa: l’Italia domina in grande stile con tutte le sue firme migliori. Dolce & Gabbana mette in mostra piramidi di borse leopardate, sorvegliate da manichini vestiti d’oro. Gucci ha buttafuori scimmieschi. Sfrecciano le Ferrari e le Lamborghini. E’ un’immagine difficile da togliersi dalla mente quando, giorni dopo, per le strade di San Francisco, ad ogni angolo qualcuno ti chiede l’elemosina per un tozzo di pane o una dose di eroina: chi sopravvive, e chi cerca di anestetizzarsi dal mondo. Più sincero è quel clochard al molo 19 che sul proprio cartoncino ha scritto: “Why lie? I just need a beer!”.

5814_1192125884500_1268995542_592126_6852441_nSan Francisco, la città che ti accoglie con una nebbia mistica, dove le nuvole prendono la forma di grattacieli e di reticoli futuristi dei ponti stratosferici. La città dove nacque il movimento hippie, dove si svilupparono i testi della beat generation, la città più tollerante per le diversità etniche e sessuali, paradiso culturale che si snoda su e giù per le strade come un roller coaster. Se la musica più ascoltata in California è l’hip-hop, qui è l’indie-rock, genere di tendenza, e non poteva essere altrimenti in questa città che odora di vintage dalla testa ai piedi.

La città delle case colorate, dei ponti, è anche quella dei Levi’s, delle case vittoriane e del carcere più famoso del mondo. I negozi infinitamente grandi di Union Square si alternano al culto dell’usato in Height street, dove si trovano libri, vestiti, cd e vinili a prezzi bassissimi. Per strada i punk cedono il passo a manichini manageriali, come china town cede i propri baku di pietra alle grazie del quartiere italiano. Saltano all’occhio dei localini bohemien, che sembrano isolatissimi, ma nascondono il cuore pulsante di questa città, tra le note del sassofono di strada e gli sguardi curiosi degli sconosciuti innovatori del posto.

Ancora San Francisco, nella notte scura, la più europea delle città americane, eccola aprire di scatto mille occhi gialli che dall’alto fissano la strada, dove imperversano i ruggiti delle Rolls Royce; città sudata d’umori adrenalinici, nera e grigia come una Metropolis espressionista, come la Gotham City di Batman.

5814_1192123404438_1268995542_592065_5125835_nHo dovuto abbandonare questa città per tornare alla costa, per incontrare un altro mostro bifronte; pochi chilometri di spiaggia, e da una parte troviamo Venice Beach, dove sul lungomare un tatuatore cede il posto al negozio di skate che lascia spazio a chi vende magliette ricordo che si sposta per lasciar passare il giocoliere; e la gente fuma erba, e si ascolta musica a palla. Dall’altra parte, Santa Monica, la spiaggia eletta dai surfisti per la perfezione costante e sistematica delle sue onde, dove sono tutti belli, dove hanno girato alcune scene di O.C., dove sulla Third Street viene a fare compere l’upper class costiera. Mi chiedo solo se l’una sappia dell’esistenza dell’altra.
E il mare, il mare se ne frega e bagna tutti con lo stesso ardore cieco.

(foto di Vincenzo Imperato)

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