di Silvia Morselli
Ha deciso qualcuno che il settimo giorno Dio si è riposato, ha deciso qualcun altro che il settimo giorno Domenica si sarebbe chiamato, Domenica, il giorno del signore. La Domenica ero abituata che stavo a casa, ora tutti i giorni è lo stesso ma la Domenica resta la Domenica, anzi la domenica con la d minuscola perché è sempre un po’ uno schifo, perché anche se ora tutte le sere si può uscire sono lo stesso il venerdì e il sabato le serate degne di questo nome, e quando si ha la (s)fortuna di frequentare un attore che non fa un accidente tutto il dì e ha letto nella “Vita di Carmelo Bene” che Carmelo Bene, appunto, durante la notte girava in solitudine e declamava, e quindi (l’attore che si frequenta) ha deciso che vivere di notte fa più attore, insomma in casi come questi capita di andare a dormire alle 5 e mezza, e nonostante si sia raggiunta la maggiore età non si è ancora trovato un lavoro e si vive a scrocco, e questo significa che la domenica, che mamma e papà non lavorano e la mattina sono in casa, insomma la domenica dopo essere andati a letto alle 5 e mezza, alle 10 arriva la mamma e dice che il sole è alto nel cielo e mortali, destatevi.
Allora è poi comprensibile se l’anelito verso la lingua greca non è poi così anelitoso, e si passa tutto il pomeriggio (il cielo inespressivo come un blocco di ghisa sorda) a leggere “Altri libertini” di Pier Vittorio Tondelli e lo schifo sale in compagnia degli emarginati che anche loro vivono di notte e anche a loro sicuramente fa schifo la domenica, anche se il Signore si è riposato. Forse, se ci fosse il sole, sarebbe diverso. Se ci fosse il sole sarebbe bello uscire e correre in moto, anche se ormai le moto non le sa più guidare nessuno, specialmente a Bologna in via Zamboni i letterati e gli artisti non amano i motori, ma gli ingegneri che hanno fatto lo scientifico i motori li eccitano ancora, e allora è bello salire in moto con uno di questi e correre la notte e il pomeriggio tardi, anche di domenica. Ma oggi è freddo e il cielo tiene chiusi in casa e Guccini e Tondelli non so se avessero un rapporto ma in questo momento lo stanno avendo grazie alla loro abitudine di frugare dentro le nostre miserie.
Poi l’ispirazione se n’è volata via indignata.
Sarebbe semplice, fin troppo semplice, affermare che i personaggi, le loro abitudini, tutta “l’atmosfera” di “Altri libertini” sia racchiudibile nelle due pagine che descrivono la mansarda in cui vive Annacarla nel racconto omonimo all’intera raccolta, descrizione per catalogo che termina con questa frase: “così nella mansarda ci prepariamo a far un cenone che qualcuno ha portato una stecca di fumo da Bologna e non bisogna mica farla invecchiare quella roba.”
Gli anni Settanta, i libri, il desiderio d’Oriente, il Satyricon di Fellini e Al Pacino, Guccini, Peter Gabriel e il fumo, la droga.
Gli anni Settanta, e la vita emiliana tra Correggio e Bologna di un ragazzo, che nonostante io non lo conoscessi penso abbia sofferto, imprigionato in un mondo che non lo voleva accettare, per una sua “anomalia” che ancora oggi è respinta.
Pier Vittorio Tondelli è nato a Correggio nel 1955, lo stesso anno di mio padre, che è di Modena, e me ne ha parlato: non lo conosceva di persona ma ha letto i suoi libri e si ricorda come vennero accolti. Si ricorda lo scalpore che suscitò una scena in particolare, la fine del racconto che apre la raccolta, “Postoristoro”: in queste pagine Tondelli squarcia un velo che gli anni Settanta “bene” avevano dolcemente steso su alcuni tratti della loro società che doveva essere perfetta, illibata; Tondelli, forse meno dolcemente, lo taglia e sceglie come protagonisti gli emarginati, i borderline che passano le notti al Postoristoro, nella stazione di Reggio Emilia, in attesa di una dose che non si è mai sicuri se arriverà o no.
Seduta in un angolo una donna di sessant’anni “accanto alla sua valigia di cartone specorito legata con una corda e con su appiccicata la cartolina adesiva di Lugano, ma dentro non ci tiene un cazzo, paura che freghino quando è fatta e appisolata”. I terroni “che di solito si sbattono per poche lire la Vanina”. La Vanina che una notte è stata caricata su un furgone da questi ultimi che l’hanno violentata “tutti insieme facendo il turno sopra e sotto e in bocca e fra le tette” e poi l’hanno “slavata” di sperma e abbandonata “nuda coi suoi straccetti imbiancati da un lato e dieci carte infilate davanti”. Infine Giusy, Bibo e la loro attesa, protagonisti del racconto. Quando finalmente la dose arriva, Bibo sta talmente male che deve drogarlo Giusy: “Giusy gli stringe il laccio ma le vene non escono, gli incavi lividi e neri e più su macchie gialle di sangue rappreso, niente da fare. Allora gli afferra il cazzo, tenta di masturbarlo, farglielo diventare duro, Bibo continua a sudare e svuotarsi di merda acquosa (…) Giusy regge il Bibo per i capelli, lo tira a sé, gli affonda il viso sul petto. ‘Non diventa duro diocane, ehi Bibo fallo diventare duro (…) guarda, è grosso è grande, è il tuo cazzo Bibo, si gonfia, diventa duro (…) è duro è duro, è in orbita! È un missile! Vieni, forza!!! Bibo!!! Sei partito, sei in aria, sei fuori diocane, sborra Biboooooo!!!’ Dentro l’ago, zac.”
Tondelli li ha fissati, questi ricordi; purtroppo io sono nata proprio l’anno in cui lui è morto, e posso riconoscerli solo attraverso quelli di tutti gli altri che come lui non volevano lasciar passare tutto senza fissare niente. Così Guccini, “Ecce Bombo” di Moretti…qualche mese fa ho fatto vedere ai miei genitori “I cento passi” di Giordana, che non lo conoscevano, e mi hanno chiesto come mai mi piacesse tanto, dato che quel periodo non l’ho vissuto. Anche pochi giorni fa, parlando appunto di Tondelli, mio padre ha detto pressappoco questo: “nel racconto delle quattro amiche, le Splash, quando cominciano a fare i videotape, a frequentare i gruppi artistico/culturali… è scritto spaventosamente bene ma viene da suicidarsi, ci senti la puzza di quei posti, ci senti…”
Ora, io la puzza di quei posti non la sento, come capisco cosa vuol dire “fogli ciclostilati”, ma non li ho mai avuti in mano. Frequento una scuola di teatro in cui happening e match d’improvvisazione sono all’ordine del giorno, ma non so cosa fosse negli anni Settanta, non l’ho visto, non mi riconosco nel ricordo. Allora perché mi piace tanto, tutto quello che riguarda quel periodo? Non solo a me, naturalmente, ma a tanti giovani della mia età, noi, i figli, la generazione successiva.
È grazie a “poeti” come Tondelli e Guccini che la puzza di quegli anni la possiamo sentire anche noi.
___________________
Le citazioni sono tratte da “Altri libertini” di Pier Vittorio Tondelli, edizione Universale Economica Feltrinelli 2010.