di Matteo Tomasina
(istruzioni: chi sa già tutto di TT, e magari è anche più “terzanologo” di me, passi all’ultimissimo paragrafo)
Ricorre domani il decimo anniversario della morte del grande giornalista Tiziano Terzani, che ha bisogno di poche presentazioni per i lettori di questo blog. Nato da famiglia povera e contadina, “da madre cattolica e padre comunista”, come amava ricordare, vinse dopo il liceo una borsa di studio che gli permise di frequentare la prestigiosa Scuola Normale di Pisa. Abbandonato, a causa delle ristrettezze economiche, il sogno di trasferirsi all’estero, accettò un’offerta di lavoro nell’azienda dell’imprenditore idealista Adriano Olivetti (“Avevo scelto l’Olivetti, perché a quel tempo un giovane come me, che veniva da una famiglia povera e che voleva impegnarsi socialmente aveva la scelta tra l’Olivetti e il Partito comunista”, dirà in seguito), in cui lavorerà per cinque anni. Benchè il lavoro gli desse l’occasione di viaggiare spesso in Europa e in Estremo Oriente, il mestiere in giacca e cravatta non era quello che si addiceva a un giovane irrequieto e idealista. Trasferitosi nel 1967 per lavoro in Sud Africa, cominciò a pubblicare in Italia i primi articoli da giornalista dilettante. Nel ’68 abbandonò l’Olivetti per trasferirsi a New York. Erano gli anni caldi della contestazione, del movimento per i diritti civili e delle manifestazioni pacifiste contro la guerra del Vietnam. Era una generazione che si emancipava dagli schemi concettuali e ideali della Guerra Fredda, alla ricerca di una terza via ideale tra capitalismo occidentale e comunismo sovietico. Per molti, la “terza via” era una forma oppure un’altra di terzomondismo. Terzani, in particolare, vedeva nel maoismo cinese e nella Rivoluzione Culturale l’esperimento più interessante per la costruzione di una società più giusta.
Il seguito appartiene alla biografia più nota di Terzani. Dopo avere studiato lingua e cultura cinese in California, si decise che la sua missione era verificare di persona la natura delle trasformazioni in atto nella società e nella politica cinese. Assunto dal Der Spiegel – Terzani, ricordiamolo, sarà per tutta la vita un giornalista tedesco – fu inviato finalmente come reporter in Asia Orientale. Fu testimone delle fasi finali della guerra del Vietnam (uno dei pochi giornalisti occidentali ad assistere alla caduta di Saigon), della rivoluzione cambogiana e della guerra scoppiata tra i due paesi alla fine degli anni ’70. Arriverà in Cina solo nel 1980, per essere espulso dopo quattro anni (e non rimettervi mai piede) con l’accusa di “attività controrivoluzionaria”. I primi dieci anni in Asia, e i venti che seguirono tra Singapore, Unione Sovietica, Indocina e India, cambiarono profondamente il suo giudizio sulle ideologie e le rivoluzioni: “ingiustizie, guerre che non finiscono mai, assassini che diventano grandi eccellenze…Tutta la mia vita ho visto rivoluzioni fallite, massacri in nome di un sogno. Rivoluzioni fatte fuori […] forse è il momento di arrivare a pensare che l’unica rivoluzione possibile è quella dentro di noi” (link).
L’immagine che più ricorrerà in questo anniversario di Terzani è quella iper-semplificata dell’ultimo periodo della sua vita, il saggio con la barba bianca, il guru della spiritualità orientale e della non-violenza (un’immagine che Terzani stesso avrebbe rifiutato, ma che lui stesso, con i suoi discorsi, la sua personalità istrionica, il suo stile di vita ha creato). Un Terzani maestro, che parla di “legge del cuore”, di “rivoluzione interiore”, che approccia gli eventi della sua epoca da una prospettiva, ai limite del naive, di pacifismo integrale che antepone il rifiuto della violenza a qualsiasi altro obiettivo. Il Terzani di Lettere contro la guerra e de La fine è il mio inizio per essere semplicisti. Libri ricchissimi, interessanti, colmi di esperienza, ma che si prestano troppo facilmente a storpiature new age o a letture vagamente dottrinarie. Tutto questo non deve mettere in ombra l’altro Terzani, quello che l’inizio della sua carriera, e i suoi articoli giornalistici, caratterizzano di più. Una figura più interessante, e, paradossalmente, più “istruttiva” rispetto al Terzani maestro. Si parla del giornalista indagatore, dell’eterno discepolo (che a 30 anni si mette a studiare cinese), del cercatore capace di entusiasmarsi e di farsi prendere dall’idealismo, ma agganciato alla realtà e convinto che le convinzioni e le dottrine devono essere testate di fronte all’evidenza. Il Terzani irrequieto e scettico, che non cerca una verità che ci scaldi i piedi, e mette in dubbio non solo le idee degli altri, ma anche le proprie. Un Terzani, infine, che cerca le sue “piccole verità” nella storia, nel mondo fuori di lui, senza sentimentalismi e senza rincorse affrettate verso l’altrove. Un Terzani più vicino, credo, all’idea che anche il grande giornalista aveva di sé.